Un team del San Raffaele ha verificato che attraverso una Pet e uno specifico marcatore è possibile cogliere le eventuali alterazioni nell'invio degli impulsi elettrici fra i neuroni e dunque "prevedere" l'arrivo della malattia e cure (più efficaci) sin dallo stadio iniziale
MILANO - La diagnosi spesso tardiva è una delle ragioni che rende inefficaci le terapie anti-Alzheimer. la ricerca internazionale da anni ha puntato infatti i suoi sforzi sui sistemi che consentono di individuare presto la comparsa della malattia. In questa direzione si è mosso anche un team italiano di ricercatori dell'Ospedale San Raffaele di Milano, il cui studio afferma ora che tramite la Pet (Tomografia ad emissione di positroni) e un particolare tracciante è possibile diagnosticare la presenza dell'Alzheimer già nei primi stadi.
Lo studio, coordinato da Daniela Perani e pubblicato sul Journal of Alzheimer, avrebbe dimostrato che l'uso di una nuova "spia" molecolare funziona da 'neurotermometro', consentendo dunque di valutare la presenza dell'Alzheimer anche nella sua fase iniziale quando i sintomi di decadimento clinico sono lievi.
Gli scienziati hanno visto che l'alterazione dell'attività colinergica - cioè quella del sistema molecolare composto dalle sinapsi e dai neurotrasmettitori, addetto all'invio degli impulsi elettrici tra i neuroni - non si registra solo quando l'Alzheimer è in fase conclamata, ma si verifica anche quando il deficit cognitivo è minimo. Il problema della ricerca medica è come "scoprire", in presenza di sintomi minimi, che questa alterazione è già in corso e secondo il team del San Raffaele questo accertamento è possibile attraverso la Pet e un particolare tracciante - l'11C MP4 - in grado di misurare l'attività della colinesterasi, enzima fondamentale nell'attività colinergica.
Il tracciante 11C MP4, secondo lo studio, si è quindi rivelato un 'neurotermometro' molto sensibile e specifico delle fasi precliniche di questa forma di demenza. L'alterato funzionamento della trasmissione degli impulsi su base biochimica precede infatti l'insorgenza della malattia e spiega in parte anche i deficit di memoria. Questo processo è stato confermato dallo studio: in un intervallo di 12-18 mesi, nel 95% dei pazienti con questo biomarker positivo si è manifestata successivamente la malattia. La conclusione dei ricercatori è che utilizzando questo biomarker e la Pet è dunque possibile monitorare la progressione della malattia e quindi intervenire nella fase preclinica, quando l'intervento terapeutico può essere più efficace.